-- Bologna, l'arte del fare - Viagginsieme

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BOLOGNA, L'ARTE DEL FARE
---  (Touring Dicembre 2012) ---

Sede della più antica università del mondo, città della musica Unesco, con una gastronomia fra le migliori d’Italia, vanta una grande tradizione artigianale legata alla straordinaria avventura dell’Aemilia ars, che ai primi del 1900 ha cercato di rinnovare le arti applicate. Una storia di valore e di valori. Di tradizioni e di uomini. L'artigianato bolognese ha un cuore autentico. Quello che dal medioevo batte soprattutto nel Quadrilatero, la zona centrale compresa fra piazza Maggiore, via Rizzoli, via Castiglione, via Farini. Qui avevano sede le corporazioni dei mestieri, le arti degli orefici, dei beccai, dei pellicciai, dei barbieri e la Società dei pittori e qui, insieme alle gioiellerie, continuano a vivere le salumerie, le vinerie e i panifici che hanno fatto di Bologna “la Grassa”. Eccellenze enogastronomiche unite a eccellenze artigianali, intrecciandosi nelle piazze e nelle vie con una serie di botteghe artistiche che, nella zona dell'ex ghetto, sono state interessate da un progetto di valorizzazione. Dal 2011 infatti, consci del loro potenziale turistico, il Comune e Cna Bologna (Confederazione nazionale dell'artigianato), hanno firmato un protocollo d'intesa per promuovere e tutelare le realtà locali. Tante le iniziative: visite guidate alle botteghe, segnaletica e mappe con i percorsi dell'artigianato, creazione di botteghe di transizione per tramandare professionalità e avviare nuove imprese, vincoli di destinazione d'uso di spazi nel centro storico per combattere la speculazione a scapito delle botteghe storiche. Il valore della tradizione bolognese si può toccare con mano da ArtigianArte, ai piedi di uno dei simboli cittadini, la Torre degli Asinelli. Qui si trova il meglio del fatto a mano, pezzi unici e originali che si ricollegano alla tradizione e all'esperienza dell'Aemilia ars (1898), società per azioni ispirata all'Arts&Crafts di William Morris, fondata da Alfonso Rubbiani, che agli inizi del secolo scorso rinnovò le arti applicate servendosi della collaborazione dei maggiori artisti del tempo: ceramiche bianche e azzurre di Colle Ameno, formelle in cotto smaltato, piatti, ricami, stampe. I valori dell'artigianato sono invece quelli che esprimono uomini e donne che operano con entusiasmo nel solco di una tradizione che non trasmette solo schemi e moduli decorativi ma anche stili di vita ed etica del lavoro. Fatica, pazienza, cura fanno parte del quotidiano di centinaia di artigiani. Sono loro le mani di questa Bologna che ha la forma maliziosa e fastosa del tortellino e il sapore pieno e rotondo della mortadella, la musica di Dalla, la potenza e la vitalità della pittura dei Carracci, il dolore del Compianto di Niccolò dell'Arca. Ma anche la religiosità tutta terrena delle belle madonne dai bimbi paffuti e irrequieti, i colori rosso-ocra dei porticati protettivi e infiniti, dei palazzi nascosti da portoni severi e placche di ottone di notai e avvocati, avvocati e notai. Che sia sotto le basse volte della più antica osteria cittadina o fra i banconi di design del più recente locale alla moda, la ricetta è sempre quella: passione, passione e ancora passione. Per la politica, per l'arte, per le donne, per il sociale: per la vita. Anche le storie sono sempre quelle, tutte uguali. tutte diverse. Interrogati questi artigiani non parlano tanto di sé ma rievocano padri e nonni, famiglie numerose e laboriose, gesti antichi e sapienti. Ricordi dolci e malinconici di mani nodose e abili, di botteghe simili ad antri favolosi dove, bambini, venivano condotti da madri amorevoli. Aneddoti vividi e commossi di coloro che hanno passato il testimone ma soprattutto trasmesso il senso del dovere, l'orgoglio di sé e del proprio lavoro, la consapevolezza del fare e della materia. È questa la storia di Pierluigi Prata e del nonno Antonio, insegnante all'istituto d'arte. «Si cresce da bambini con la voglia di bottega. Vedevo quel bell'uomo anziano, forte e austero e pensavo: voglio essere come lui». Dalle mani di Antonio sono usciti lampadari, lampioni e oggetti come il gallo per la casa di Kirk Douglas che negli anni '60 si è guadagnato la copertina di Life o il ritratto di Eisenhower, regalo della Camera di commercio bolognese al presidente americano. Un uomo tutto d'un pezzo Antonio, che strappò l'onorificenza inviatagli dal Duce per un ritratto dicendo: «Se l'avessi fatto a Togliatti me l'avrebbero data?». Questa solidità di carattere avuta in eredità, Pierluigi la mette alla prova con il ferro, che non ammette indecisioni. L'ultimo dei Prata si è adattato al gusto moderno e dalla bottega escono letti e piccoli oggetti. Non ha un erede, ne ha tanti. I bimbi delle scuole cui mostra come fare nascere dal ferro boccioli e riccioli, ma anche il giovane Matt Wallace, da Charleston, un allampanato americano che periodicamente si presenta alla sua porta con la moglie Tessie. Perché negli Stati Uniti, immune da pregiudizi culturali, il lavoro manuale non è ritenuto inferiore a quello intellettuale. Simile la storia di Leonardo Dingi, della fonderia di fregi e decorazioni in metallo per mobili e porte fondata dal padre Silverio 51 anni fa, licenziatosi da un'azienda dove faceva modelli per carburatori. Un paio di baffi di quelli che non si usano più, un senso della famiglia e dell'educazione di quelli che non si conoscono più. Leonardo, che lavora soprattutto nel campo del restauro di metalli, non ha dipendenti, non può averne. Racconta dell'abilità del genitore e della vecchia guardia, come il celebre Sante Mingazzi, ma anche di chi sta chiudendo bottega. E per ogni artigiano che chiude si perdono non solo una manualità ma l'uomo e la sua cultura. Passaggio di testimone anche da Peron & Peron, dove Simone è subentrato al padre Bruno nella bottega di calzature su misura. Negli anni 1930-40 Bologna è stata la capitale della scarpa da uomo, celebre il concorso Lesina d'oro attribuito al miglior calzolaio d'Italia e legato alla figura di Lemanni, il maestro dei maestri. Delle 1.850 botteghe di quell'epoca poco è rimasto, soprattutto dopo il 1970, quando l'industrializzazione le ha trasformate in calzaturifici semiartigianali. «La passione per questo lavoro è nel Dna. Bisogna essere bravi artigiani e bravi psicologi. Andiamo a casa del cliente e cerchiamo di stabilire un feeling con lui, osservando il suo guardaroba, l'arredamento. Questa è la base di un buon lavoro». La pelle arriva da Francia e Inghilterra, mentre il cuoio dalla Germania, ma la tecnica è tutta made in Italy. Una tecnica tale da suscitare l'ammirazione dei maestri della scuola di Tokyo, fra i migliori al mondo. Altro figlio  d’arte, altra manualità. Luca Stanzani, un liutaio che non sa suonare. Un fiume in piena di battute e ironia, qualche problema di troppo che non spegne la voglia di essere e di lavorare con i bimbi delle scuole, “i cinni”. Nato elettrauto e ora costruttore di chitarre elettriche suonate da Eric Clapton e Sting: «La liuteria è un discorso matematico, basta rispettarne le regole. E costruire, costruire, costruire». Sembra facile, ma buon sangue non mente. E il sangue di Luca dal 1947 si chiama Stantom (Stanzani-Tommasoni), dal padre Giancarlo e dal socio che costruivano le chitarre che facevano bella mostra di sé da Alex, celeberrimo negozio di strumenti musicali di New York. Una tradizione gloriosa quella della liuteria bolognese. Accarezza amorevolmente il bancone eliminando granelli di polvere invisibili, un gesto che ha ripetuto tante volte nei suoi cento anni di vita la minuscola mamma di Marco Casagrande, straordinario orefice, straordinario uomo di cultura. Ironico e acuto: «Sono un uomo libero. Ogni artigiano lo è, perché è padrone dei propri schemi». Tagliente come i propri ferri del mestiere, prezioso come i lavori che escono dalle sue pazienti mani, è figlio d'arte e degno erede della grande tradizione bolognese, nata nell'XI secolo grazie all'università e ai suoi ricchi studenti. Prodotti di lusso come testimoniato dai reliquiari di S. Domenico e di S. Petronio e dai nomi di Jacopo Roseto, Francesco Francia e del fiammingo Jean Jacobs. Marco ha frequentato corsi di oreficeria antica e divorato libri per carpire tecniche e modelli ed è specializzato nel filone archeologico e nella complessa lavorazione dell'opus interassile. Fra i suoi lavori più impegnativi, il rifacimento del tesoro di Domagnano, esempio di oreficeria gota del 580. Ancora preziosità nell'ex convento di S. Pietro dove, accanto a una pala d'altare copia d'epoca dei Cartacei raffigurante il santo martire, si restaurano antiche vetrate legate a piombo e dipinte con grisaglie e smalti cotti a fuoco. Siamo nel laboratorio Fenice di Americo Corallini e Valeria Bertuzzi che da trent'anni restaura vetrate antiche, come quelle giottesche in S. Croce, a Firenze. Unica bottega artigianale di questo genere rimasta in una Bologna che può annoverare fra i suoi capolavori le vetrate della chiesa di S. Giovanni in Monte. Leggera e dolce come una libellula, Alice Cappelli, un destino in un nome, una prozia che le ha insegnato i segreti del mestiere già a otto anni. Non poteva che occuparsi di bambini questa stilista che insieme a Isabelle e Paola ha dato vita al negozio di abbigliamento infantile “Les libellules”. Dietro il sudato successo di questo piccolo e garbato atelier ricavato in una vecchia cappelleria del 1917, e che collabora anche con il Magma di Londra e con una serie di gallerie d'arte parigine, la forza di un'equipe dai 27 ai 33 anni d'età, la bellezza dei tessuti e delle linee giapponesi, la sensibilità data dell'essere madri di bimbi piccoli. Due collezioni all'anno, abiti dai colori pastello, rifiniti con cura e amore. Fanno fatica le libellule, la concorrenza degli outlet e la crisi non aiutano certo. Ma i loro non sono sogni di carta e Alice continua a credere nella bellezza del fare, nel suo senso e nel suo valore. Una grande tradizione che si sta spegnendo è quella rappresentata dalla vulcanica Daniela Cellina della stamperia artisticaLa Tarlatana”: «Si è sviluppata la sindrome del museo. La gente preferisce collezionare stampe piuttosto che viverle, le vuole piccole e che costino come la carta per il computer». I suoi clienti sono soprattutto stranieri, molti i russi. Un'altra donna per un'altra grande tradizione locale. Insieme alla produzione contemporanea di Crete-pièce unique di Giovanni Bolognini e dei suoi soci Pastore e Bovina e alle maioliche dipinte di Laura Pergola, spicca il nome di Rosa Bagnaresi, maestra nella tecnica della ceramica graffita: «Il momento è difficile e io ho scelto la qualità di pezzi unici, spesso su ordinazione». Una storia di valore e di valori quella dell'artigianato bolognese. “La Dotta” ci ha messo la tradizione, gli uomini il cuore. E continuano a gettare il seme di una cultura del fare raccontata come una favola moderna. Una favola che parla di un uomo anziano, forte e austero.
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